Chi vuole uccidere il lupo? Perché dire no alla proposta di abbattimento

Abbattimento dei lupi: sogno o son desta? La seconda: pare proprio realtà il miserevole piano che sta approntando l'Unione Zoologica italiana per conto del Ministero dell'Ambiente.

Lo scopo del progetto sarebbe non tanto quello di eliminare esemplari perché sono troppi (secondo l’ultimo censimento ci sono 150 lupi sulle Alpi e un migliaio lungo gli Appennini), ma di trovare un equilibrio tra gli animali e l’attività umana, mantenendo una popolazione sana. Ergo, ci saranno abbattimenti sì, ma da valutare caso per caso.

Insomma, in barba alla direttiva europea che tutela il lupo e a “Operazione San Francesco” che più di 40 anni fa riportò grazie al WWF il lupo sui monti d’Italia, oggi – in difesa delle greggi!– si studia un piano di abbattimento (il primo dal 1970).

Non bastano i già numerosi gravi atti di gravi atti di bracconaggio: nel triennio 2013-15, infatti, in Italia sono stati trovati morti per cause non naturali ben 115 lupi, più del 40% dei quali ucciso con armi da fuoco (24,3%), avvelenato (10,5%) o torturato con i lacci (6 %). Il restante 45,6% dei decessi è per investimento stradale, una causa comunque imputabile alle attività dell’uomo, il 13,2 per motivi incerti e meno dell’1% per aggressione da parte di altri canidi (dati Legambiente).

Insomma, un tentativo “innescato dal mondo agricolo e venatorio”, come dice l’Enpa, di poter sparare, dietro il pretesto dei presunti danni all’agricoltura, ad una specie particolarmente protetta.

Come è ormai noto da tempo, gli attacchi alle greggi, abbandonate a loro stesse, senza custodia, vigilanza e protezione alcuna, sono causati dai cani non sterilizzati e lasciati vagare sul territorio, in stato di sofferenza. Si tratta in particolare di quelli utilizzati da allevatori e cacciatori, e detenuti in palese violazione della legge 281/91 e della 189/2004”, spiega Andrea Brutti, dell’ufficio Fauna Selvatica di Enpa. “Gli allevatori responsabili, che non lasciano agnelli e pecore senza sorveglianza, in balia di possibili predazioni, rispettando quindi le leggi e il territorio che li ospita devono ovviamente essere risarciti ed aiutati, ma non chi viola le norme. Ciò che invece è assurdo è il fatto che una esigua minoranza di allevatori, spalleggiati da qualche associazione di categoria, dopo tanti anni stia ancora a discutere degli abbattimenti, ovvero di un percorso impraticabile da un punto di vista sia etico che giuridico, soprattutto quando valide e sensate soluzioni ci sono ma c’è il rifiuto di applicarle. Una strategia che, oltretutto, non ha mai prodotto alcun risultato”.

PERCHÉ NON PUO’ ESSERE APPROVATO IL PIANO DI AZIONE NAZIONALE DELLA SPECIE – Concedere alle Regioni la possibilità di abbattere alcuni esemplari, solo per assecondare le istanze di una parte del mondo agricolo e venatorio, è inaccettabile da un punto di etico ma è anche pericoloso per l’economia degli allevatori e per il contrasto al bracconaggio. In più, alcuni studi internazionali, condotti in aree dove il lupo è cacciato, confermano che uccidere degli esemplari per i sopravvissuti può comportare oltre alla destrutturazione del branco a cui appartengono, anche la perdita della capacità di predare in gruppo la fauna selvatica, specie il cinghiale, con conseguente rischio di aumento degli attacchi alla fauna domestica.

UNA SOLUZIONE? Sarebbe innanzitutto indispensabile migliorare l’attività di comunicazione sul lupo rivolta soprattutto alle comunità rurali interessate, per accrescere il grado di conoscenza e ridurre la circolazione dei tanti luoghi comuni e falsità sulla specie.

Il vero problema – conclude Brutti – non sono né i lupi, né i cani né qualsiasi altro animale, ma l’ostinazione di chi, istituzioni comprese, continua a eludere le nostre norme, tra cui la legge 281/91 che, dove applicata, ha permesso di risolvere i problemi connessi al randagismo. A pagare non possono essere sempre gli animali e i cittadini onesti né la natura: è assurdo pensare di poter vivere in un mondo di plastica”.

L’assurdo è che, come suggerisce il WWF, e metodi ampiamente sperimentati, cruently-free e efficaci e che escludono l’uccisione e accessibili anche grazie ai fondi messi a disposizione dalla CE all’agricoltura ce ne sono. La sorveglianza del pascolo, la presenza di buoni cani da guardia di razza pastore abruzzese-maremmano, le recinzioni fisse e mobili elettrificate, sono alcune delle soluzioni che potrebbero ridurre notevolmente il rischio. Il passo in più sarebbe metterle in campo in modo tecnicamente corretto e ben gestite, con tanto di squadre di specialisti biologi, naturalisti o agronomo-forestali.

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