Acque minerali: le Regioni svendono le sorgenti ai privati. Il dossier di Legambiente

L’acqua pubblica è ormai diventata una merce rara e lo scenario si fa ancora più inquietante se pensiamo che le Regioni stanno praticamente regalando le nostre sorgenti ai privati. È quanto emerge dall’ultimo dossier di Legambiente, realizzato in collaborazione con la rivista Altreconomia che, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2011, tracciano un quadro aggiornato sulla gestione idrica e la privatizzazione delle sorgenti in Italia.

L’acqua pubblica è ormai diventata una merce rara e lo scenario si fa ancora più inquietante se pensiamo che le Regioni stanno praticamente regalando le nostre sorgenti ai privati. È quanto emerge dall’ultimo , realizzato in collaborazione con la rivista Altreconomia che, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2011, tracciano un quadro aggiornato sulla gestione idrica e la privatizzazione delle sorgenti in Italia.

Tra le peggiori regioni, che hanno concesso le sorgenti pubbliche a canoni bassissimi, troviamo Liguria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia e la Provincia autonoma di Bolzano; Lazio e Abruzzo sono invece quelle più virtuose.

Un’occhiata alle cifre…
Il nostro Paese si conferma la nazione europea con il maggiore consumo pro capite di acqua in bottiglia (192 litri) e una media nazionale di consumi doppia rispetto a quella degli altri Paesi europei.
L’Italia – solo nel 2009 – ha imbottigliato ben 12,4 miliardi di litri, di cui solo l’8% destinato al mercato estero, per un giro d’affari pari a 2,3 miliardi di euro nel 2009 e in continua ascesa, specie negli ultimi trenta anni.

Tuttavia, se il volume degli affari continua ad aumentare, le tariffe pagate dalle aziende imbottigliatrici sono rimaste molto indietro; basti pensare che alcuni regolamenti sono quelli da regio decreto! Un esempio? In Molise e in Sardegna! Ma in molti altri casi i regolamenti sono comunque vecchi di 30 anni.

Secondo il dossier di Legambiente e Altreconomia, l’adeguamento delle leggi regionali alle linee guida nazionali stabiliti nel 2006 per i canoni di concessione è un obiettivo ancora lontano. In teoria, le aziende private dovrebbero pagare le seguenti tariffe: da 1 a 2,5 euro per metro cubo o frazione di acqua imbottigliata; da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o imbottigliata; almeno 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa. Di fatto non lo fanno.

E invece di aggiornare i listini – considerando anche il valore della risorsa idrica e l’impatto ambientale dell’imbottigliamento e del trasporto – le Regioni traccheggiano.

L’acqua e la sua gestione sono questioni centrali nel nostro Paese. – ha dichiarato Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente – Lo hanno confermato 1 milione e 400mila cittadini che si sono impegnati in prima persona per chiedere a Governo e Parlamento di modificare la legge che impone la privatizzazione del servizio idrico. Ma mentre il dibattito pubblico/privato per la gestione del servizio idrico è ancora in corso, in Italia esiste già una forma di privatizzazione dell’acqua, o meglio delle sorgenti concesse a prezzi ridicoli alle società che imbottigliano. Una sorta di obolo in netto contrasto con il volume di affari del settore ma soprattutto in confronto all’altissimo valore di una risorsa limitata e preziosa come è l’acqua di sorgente”.

Dalla classifica di Legambiente e Altreconomia le regioni bocciate (perché prevedono dei canoni solo in base alla superficie e non sui metri cubi di acqua imbottigliata) sono Liguria, Molise, Emilia Romagna, Sardegna, Puglia e la Provincia autonoma di Bolzano.

Meno peggio il Veneto, la Val d’Aosta, le Marche, la Provincia autonoma di Trento, la Lombardia, l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, che hanno rivisto (solo per alcuni punti) la normativa; sebbene abbiano poi introdotto alcuni incomprensibili sconti. Promosse invece Lazio e Abruzzo, che hanno adeguato i canoni alle linee guida nazionali.

Nonostante alcune novità, sono ancora irrisori i canoni che le aziende imbottigliatrici corrispondono alle Regioni – ha detto Pietro Raitano, direttore del mensile Altreconomia-. Se venissero fissate tariffe adeguate, assisteremmo a un riallineamento dei prezzi al consumo, che sarebbero più corrispondenti ai reali costi della minerale. Vedremmo anche meno pubblicità e il bisogno indotto di acqua in bottiglia si ridimensionerebbe, portando il nostro Paese nella media europea. Con il vantaggio di vedere in giro meno camion carichi di bottiglie e meno plastica tra i rifiuti. È giunto anche il momento di ribadire che le esigenze dei cittadini vengono prima di quelle delle aziende imbottigliatrici, alle quali pertanto non dovrà più essere permesso di privatizzare di fatto le fonti togliendo acqua ai cittadini, come invece è accaduto e accade ancora per alcune concessioni, al Nord come al Sud Italia“.

Il problema dell’acqua pubblica in mano ai privati non è solo una questione di principio (ciò che è vitale non è più disponibile per tutti ma in mano alle aziende) ma anche un problema ambientale, che si traduce in una produzione massiccia di plastica e in un costante trasporto delle bottiglie nei vari punti vendita. Con tutto ciò che questo comporta a livello di 2” >emissioni di C02!

Indovinate chi paga le conseguenze di tutto questo?

Verdiana Amorosi

Leggi il dossier completo “Acque minerali: la privatizzazione delle sorgenti in Italia”

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