BoxPark: a Londra il centro commerciale dai conteiners riciclati

A Londra sorge un centro commerciale fatto di contaniners riciclati. Si chiama Boxpark e ospita piccoli imprenditori ma anche grandi marche

Negozi a basso costo, ricavati dai containers riciclati. Il nuovo stile dei genozi d lusso è un’idea di Roger Wade, ed è nota con il nome di Boxpark. In collaborazione con gli sviluppatori immobiliari Hammerson e Ballymore, il Boxpark promette di rivoluzionare il commercio al dettaglio con i nuovi shop a basso costo.

Già all’opera a Londra, il nuovo centro commerciale fatto di containers è già diventato un luogo per veri intenditori e appassionati, dove non solo è possibile trovare capi di abbigliamento e calzature, ma dove è nata una comunità viva fatta di marchi di talento, che hanno messo l’innovazione, la creatività e la moda al loro posto: on the road, per strada.

Le strutture non sono né invadenti né troppo invasive, ma riescono facilmente ad integrarsi col tessuto urbano circostante, con un’aggiunta di colore che non guasta.

Un vero e proprio “paese contenitore”, dove vecchi containers sono stati riverniciati in bianco e nero e riassemblati in agglomerati di due piani per cinque. Al piano superiore inoltre si trovano vari ristoranti con panche e tavoli all’esterno.

box-out

Alla base dell’idea di Wade, c’era la volontà di offrire una nuova possibilità alle piccole imprese che altrimenti non sarebbero state in grado di permettersi affitti elevati. In questo modo, a costi bassi e con un impatto ambientale decisamente ridotto, i piccoli imprenditori sono riusciti ad avviare un’attività, unica nel suo genere.

E in questo centro commerciale così singolare non poteva mancare un concept store che vende regali etici per Amnesty International. Ma ci sono anche marchi più noti come Levi, Puma, Calvin Klein e Nike, che non potevano lasciarsi sfuggire l’opportunità di avere un proprio spazio in questo luogo. Una particolarità? A nessuno è permesso di esporre all’esterno qualcos’altro diverso dal proprio nome. Il risultato è una bella democratizzazione visiva, come dire: almeno da fuori siamo tutti uguali. E rigorosamente green.

Francesca Mancuso

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